La parte più vicina a noi della storia d’Italia, dispone di una sorta di
colonna sonora sicuramente unica nel suo genere. Vittorie ma anche
sconfitte, speranze ma anche delusioni sono state sempre sottolineate da
canti che talvolta raggiungevano la solennità degli inni. È appunto
questa eredità culturale, spesso esaltante talvolta scomoda, che si
tenta qui di recuperare. E se agli albori del Risorgimento ci si avvalse
di brani ricavati dal melodramma, come è il caso di “Va’ pensiero”,
presto si poté contare su testi, come l’“Inno di Mameli”, scopertamente
composti per i patrioti.
Si nutrono, gli anni del Risorgimento, di canti di origine popolare
quali “Addio mia bella addio” e “La bella Gigogin”,
ma già la grande guerra inizialmente caratterizzata da canti creati dai
soldati stessi, come “Sul ponte di Bassano”, riceve una benefica scossa
da “La leggenda del Piave”, versi e musica di un postelegrafonico
napoletano. I fascisti con “Me ne frego”, i socialisti con “Bandiera
rossa”, i popolari con “Bianco fiore” caratterizzano il primo
dopoguerra.
Poi il regime con “Giovinezza”, “Fischia il sasso” e chi più
ne ha più ne metta. E l’impresa d’Etiopia con “Faccetta nera”. E la
seconda guerra mondiale con “La sagra di Giarabub” e “La canzone dei
sommergibili” ma anche con la struggente “Lilì Marlen” che accomuna in
un abbraccio i soldati di tutti gli eserciti in lotta. Si canterà ancora
dopo l’8 settembre: “Le donne non ci vogliono più bene” da una parte,
“Bella ciao” da un’altra. Sessant’anni di silenzio e poi, di nuovo,
l’“Inno di Mameli”. L’Italia s’è desta? |