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Un sonno che dura da mezzo secolo. Da quando, nel marzo del 1944, il vulcano con il
suo pino di fumo alto tremila metri, con le sue imponenti colate di lava, si congedò da
Napoli, quasi a significare che cessata la guerra, anche lui avrebbe dismesso le potenti
bombarde e gli obici tonanti postati nel cratere. A celebrare questi cinquant'anni di
riposo (o di tregua), e insieme a restituire alla <<
montagna di fuoco >>
tutto il sublime e il pittoresco della sua bimillenaria vicenda - se si vuole cominciare
dal sacrificio di Plinio-, abbiamo voluto un'opera nella quale convenisse una
molteplicità di saperi - scientifico-storici, artistico-letterari - coordinati a dare
al
Vesuvio la sequenza dei suoi eventi più propriamente vulcanici, l'immagine e le
suggestioni che esso comunica e suscita nei diversi momenti della sua vicenda, la
relazione con i fatti storici che lo hanno visto testimone nel corso dei secoli. Il
rapporto con Napoli, il profondo e oscuro legame tra sangue e magma esaltato dalla poesia
barocca, e la domanda - un po' oziosa, ma non per questo meno intrigante - se sia stata la
città a dare più alta nomea al suo vulcano, o questo invece a trasmettere a Partenope
gran parte del suo affabulante immaginario. E se a questo alluvionale apporto di icone e di
topoi dovuto a letterati e viaggiatori, Francesco Durante e Atanasio Mozzillo dedicano
pagine di capillare ricerca e insieme di coinvolgente scrittura, sull'incontro tra la
letteratura e il vulcano, Nicola Spinosa impernia un'analisi che nella grande ricchezza di
motivi e di spunti travalica la pur non marginale fatica di un esaustivo inventario di
figuratività vesuviana: dalla prima rappresentazione di Franz Hoefnagel (1575) fino
alle contemporanee accensioni di Andy Warhol e Ernesto Tatafiore. E se
si insiste su questo
punto è perché il vastissimo e articolato corredo di illustrazioni costituisce parte
integrante di un approccio scientifico e critico mai finora tentato, in una prospettiva
interdisciplinare che vede il lavoro comune di un Accademico di Francia come Georges
Vallet, di un vulcanologo come Gasparini, di un filologo come Gigante, di storici come
Mozzillo, Placanica e Spinosa, di scrittori come Fratta e Durante. La storia del Vesuvio,
il suo mutare nel tempo, il ripetersi dei fenomeni eruttivi dopo la spaventosa eruzione
del 1631 vedono Paolo Gasparini impegnato in una ricostruzione scandita da una lunga
consuetudine con il vulcano nella sua realtà per così dire geologica, e con tutta la
più significativa produzione scientifica a partire dalla seconda metà del Settecento. Ad
una prospettiva che bene può definirsi imperniata sulla storia della mentalità, Augusto
Placanica ripercorre le implicazioni etico-religiose, le paure e le credenze
escatologiche, le certezze ed i dubbi implicati dalla "catastrofe" sia a
livello di immaginario collettivo, sia nella speculazione filosofica della cultura
illuministica.
Il grande dibattito sulla formazione dei vulcani, l'apporto di Sir William Hamilton, la
presenza del Vesuvio nella letteratura di viaggio, il rapporto postulato tra
<< naturale sulfureo >>,
accessibile, pericoloso, del napoletano, e il suolo
minato su cui egli vive, il culto gennariano nelle sinergie magico-religiose sono i nuclei
dell'intervento di Atanasio Mozzillo, al quale Francesco Durante fornisce ulteriori e più
specifici apporti spostando l'indagine sulla letteratura che per cinque secoli si svolge
per così dire alimentata dal vulcano, dalla <<
montagna di fuoco >> di volta in
volta benigna nutrice o spietata distruttrice. E perciò il manierismo e il barocco di
Tansillo e Giulio Cesare Cortese: il devozionalismo gesuitico (il fuoco come nemesi
divina); il Vesuvio dei "lumi" ; il soffio arcano e possente di un mistero romantico:
Chateaubriand, Shelley e poi Leopardi; infine più recenti e inaudite catarsi e consumo
post-moderno del mito. Un percorso che - lo si è detto - si rivela per molti versi
contiguo a quello di Nicola Spinosa, anch'esso scandito dai movimenti della cultura e
del
gusto, delle mode lungo un arco tre volte secolare.
Fili, linee, segmenti che pressoché tutti in qualche modo ci riportano alle matrici della
prima eruzione storicamente documentata, la catastrofe che seppellì Pompei ed Ercolano
conservandoci così la più straordinaria documentazione sulla cultura materiale della
Romanità. Ma non tanto su questo aspetto si ferma Marcello Gigante, bensì sul sisma del
'79 d.C. che segna l'ingresso del Vesuvio nel regno dell'arte; e perciò i poeti epici
dell'età imperiale - Valerio Flacco e Silio Italico - fino al napoletano Papinio Stazio,
che cantò la follia dionisiaca del vulcano trasmettendo il brivido dello sterminio e del
deserto a Giacomo Leopardi.
Se Vallet detta un incipit di straordinaria apertura, Arturo Fratta chiude il volume
ripercorrendo i sentieri della memoria per ricordare, anche con la scorta di fonti coeve -
Malaparte, Lewis, Maiuri - l' << ultima volta
>> del fuoco devastante, della
cenere e dei lapilli in parte emblematici che accompagnarono il doloroso risveglio di
Napoli dal letargo della ragione. E fu quello, almeno per il vulcano, uno stizzito
vociare, un voler come richiamare su di sé l'attenzione di quella gente alle sue falde
che anni di devastazione e di fuoco non già naturale, ma caduto a pioggia dalle
superfortezze volanti "liberatrici", aveva irriso, indenne, il pastorale scudo
di Gennaro Vescovo, taumaturgo.