Segni della città scomparsa
<< Ed ora in alto il piccone! Abbattete! Cadano sotto le ruine i germi malefici delle infermità e le nuove correnti d'aria e di luce che si agiteranno su di esse, siano apportatrici di prosperità e di salute >> . Così, alla presenza dei sovrani, il 15 giugno del 1889, Nicola Amore dà inizio ai lavori del risanamento; o meglio << sventramento >>, come auspicato da Agostino Depretis nei giorni del colera.
Ma c'è qualcuno che i colpi di piccone li sta a contare con sgomento, qualcuno che in quei vicoli tanto deprecati dai << risanatori >> si aggira incredulo per la rovina che se ne sta facendo e per i progetti che la vogliono ancora più estesa, fino a cancellare la memoria stessa di una città sigillata nella sua miseria, ma anche nel suo passato. Ed è, inutile dirlo, il nostro Raffaele d'Ambra, che con le sue dispense e le sue tavole, tenta il solo recupero ormai possibile di una Napoli che sta per scomparire insieme al secolo. Anche lui è là, in quel giorno di festa, confuso tra la folla ad ascoltare il discorso di Nicola Amore; ma l'enfasi dello sventratore, la gonfia retorica dei giornalisti che esaltano l'avvenimento, lo muovono prima a fastidio, poi a rabbia. E a un cronista del << Il Roma >> che dà per scontato, in seguito alle iniziate demolizioni, l'avvento di un' era in cui << progresso materiale e progresso morale andranno di conserva >>, a questo gazzettiere e a quanti continuano a esaltare il << piccone demolitore del vecchio e la cazzuola costruttrice del nuovo >>, il << professore >> obietta con amarezza che << forse il nuovo non sarà bello come il vecchio che si demolisce >>. E si avverte che questo << forse >> è soltanto una mostra di cautela, laddove ha tenaci radici il convincimento che << col piccone si perdono infiniti ricordi, infinite dolcezze >>. Napoli ne riuscirà più ampia, certo più pulita, ma << resterà come morta >>, simile in tutto a Milano e a Torino, alienata del suo << carattere artistico, tipico, unico, singolare >>. E per giunta, al contrario di altri centri essa, << la più ricca e fiorente città italiana >>, continuerà a immolarsi nei ripetuti olocausti che le impone il nuovo stato, tenendola ai margini, << separata, isolata in mezzo all'attività dei traffichi >>.
<< Vergogna nostra e maledizione de posteri >>, impreca d'Ambra, e non soltanto per l'enormità di crimini siffatti, ma anche e soprattutto per l'indifferenza di fronte al contesto della città antica, che nella sua totalità conserva memorie inestimabili della << storia naturale, idrografica, topografica >>, segni ammonitori di << fuochi vulcanici, inondazioni, terremoti, alluvioni >>, documenti insostituibili per la << storia politica, nobiliare, popolare, nella fondazione abbattimento e trasformazione di fabbriche d'ogni sorta >>, e non ultime, infine, le testimonianze di << tutte le arti del disegno, dell'industria e dei commerci >>. Una devastazione che si direbbe portator di follia se non si sapesse frutto avvelenato della speculazione e della rapina. E così fin dal << proemio >> di questa Napoli antica si dichiara un rifiuto reciso e insieme disperato per i criteri che ispirano il Risanamento. Non se ne propongono altri, è vero, eppure già basta questo dissenso - tutt'altro che immotivato - a dare all'opera una feroce attualità. Ma davvero - si chiede d'Ambra - la distruzione del ventre non comporta impoverimento del patrimonio artistico culturale cittadino? Davvero questi quartieri devono considerarsi niente più che un labirinto di costruzioni anonime, insignificanti, mute sulle vicende del tempo? Bestemmia! Esplode a ragione il << professore >>. Questi vicoli, questi slarghi, questi edifici sorgono << sopra alcune vetuste lingue di mare dove per tanti secoli sonosi serbati avanzi di opere dell' epoca greca e romana, del Ducato e delle dominazioni normanna, sveva, angioina ed aragonese >>. E quindi un sostanzioso inventario di << palagi e tempî, case di vivi e di morti >> destinati, secondo << gli intendimenti eroici di oggidì >> , a far da materiale di riempimento per le colmate previste tra il << retto filo >> e il mare. Inventario non fondato sull' arbitrio, se pochi anni dopo, nel 1902, il primo soprintendente ai monumenti di Napoli, Adolfo Avena, pubblica una lunga serie di rilievi, disegni e planimetrie relativi a quanto per valori storico artistici si sarebbe dovuto salvare, e che invece già erasi distrutto o lo sarebbe stato tra breve. Ma d'Ambra va oltre, e il suo lavoro è il solo che resti a documentare moltissimi ambienti perduti, giacché, continuando a citare il proemio di Napoli antica, lui non si è limitato a dar notizia di venerande chiese e illustri palazzi, ma si è adoperato a ricostruire le vicende << dei luoghi che vi si trovano intorno, memorabili e degnissimi di storia >>.
Atanasio Mozzillo