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COSTUMI DELLA FESTA |
Quando
a Trento, nell'aprile 1992, nel corso del convegno Ottocento
questo conosciuto, organizzato dalla Editrice Bibliografica e dalla
Provincia Autonoma di Trento, ebbi l'opportunità, alla
fine della mia relazione, di proiettare su uno
schermo gigante le diapositive a colori delle straordinarie immagini dei Costumi
della festa data da S. Maestà il dì 20 feb. 1854, ( impresso a
Parigi dalla litografia Bertauts e curato da
Luigi Marta ), sperimentai la rara sensazione di trovarmi di fronte ad un pubblico
stupito e ammirato al tempo stesso.
Nel variegato panorama festivo, che per circa tre secoli caratterizzò la vita delle maggiori corti italiane, un posto di rilievo spetta senza dubbio al Carnevale. Basterebbero a provarlo le tante entusiastiche descrizioni che, nei loro diari di viaggio, i protagonisti del Grand Tour dedicarono a questo annuale appuntamento celebrato con particolare impegno in centri come Venezia, Roma, Napoli. Nella città partenopea il Carnevale - che nel Settecento già vantava una solida tradizione - ebbe un ulteriore impulso allorché, con l'avvento di Carlo di Borbone al trono delle Due Sicilie, le consuete espressioni di carattere popolare furono affiancate da altre forme di svago riservate alla nobiltà, primi fra tutte i veglioni danzanti. Ad introdurli fu l'impresario Diego Tufarelli che nel 1747 chiese ed ottenne il permesso di far entrare al San Carlo << le maschere, uomini e donne che sieno, a loro libertà, come pratticasi in tutti li teatri più famosi e nobili d'Europa >>. Salvo qualche sporadica interruzione, quest'uso, accolto con grande favore dall'aristocrazia locale, proseguì per tutto il Settecento e, superato il decennio francese, fu ripreso con accresciuto fervore dai sovrani borbonici che si avvicendarono al governo dopo la restaurazione. Particolarmente sfarzosa la mascherata del 1827 che si incentrava sulla figura di Francesco I nelle vesti di un sultano orientale che fu oggetto di una preziosa pubblicazione illustrata da una raffinatissima suite di litografie uscite dai torchi di Cuciniello e Bianchi. La stagione più rigogliosa delle maschere fu però legata agli anni di governo di Ferdinando II, ben noto non solo per la sua educazione bigotta, quand'anche per la sua innata passione verso le manovre militari e le parate, nonchè per le sue doti di ballerino esibite di buon grado anche nei trattenimenti offerti di continuo dalla nobiltà e dalle legazioni diplomatiche, oltre alle numerose gale indette in occasione dei compleanni e onomastici dei componenti della real famiglia, fu infatti proprio lui, a promuovere le ultime grandi feste della corte borbonica, quale il ballo dato al Real Palazzo nel 1837 per il matrimonio con Maria Teresa. Ma, come in passato, il vero fulcro di queste manifestazioni era il Carnevale, celebrato al San Carlo con una serie di veglioni danzanti ciascuno dei quali richiamava dai quattrocento ai milleseicento invitati. A parte il fiore della nobiltà napoletana, questi veglioni facevano registrare una larga partecipazione di diplomatici, di illustri stranieri che, probabilmente, mediante l'uso della maschera riuscivano per qualche ora ad evadere dalla difficile situazione politica di quegli anni. Esemplare, in tal senso, lo spettacolare torneo organizzato per il Carnevale del 1847 - svolto eccezionalmente nello spiazzo antistante la reggia vanvitelliana di Caserta - che vide, come " Capo della fazione rossa " , Ferdinando II avvolto in una imponente armatura da condottiero medioevale. A chiudere il ciclo delle manifestazioni carnevalesche fu la non meno grandiosa e memorabile edizione del 1854, tenuta nell'appartamento delle feste del Real Palazzo la sera tra il 20 ed il 21 febbraio e, come di consueto replicata nei giorni successivi. Questa volta la fervida immaginazione del sovrano - dopo la << gioconda idea della giostrante cavalleria >> - concepì suddiviso in cinque quadriglie, << un quadro magnifico di epoche diverse, personificate, per così dire dalle fogge che in esse rifulsero >>. Lo riferisce Luigi Marta nella nota esplicativa anteposta alla sontuosa ed elegante pubblicazione da lui curata per la circostanza: un album in-folio composto da trentadue tavole raffiguranti i principali protagonisti di quella serata nei loro fastosi abbigliamenti, frutto del << lavoro di artefici ed artieri che durò settimane >>. Lo stesso Marta ricorda inoltre che, per realizzare con una indispensabile precisione filologica i costumi << delle più celebri corti >>, erano state svolte minuziose indagini nelle << pubbliche e private biblioteche >>, alla ricerca di << storie, cronache, descrizioni archeologiche, ritratti, blasoni >>. Una lunga ed accurata preparazione condotta dai diretti interessati << in compagnia di eletti artisti >>, tra i quali non è azzardato supporre che vi fossero anche i due addetti al settore costumi dei << Reali Teatri >>, l'appaltatore Carlo Guillaume e il figurista Filippo Del Buono. Sicura invece la collaborazione del pittore Pasquale Mattei - illustratore della vita di corte e studioso di feste popolari - cui si deve il disegno preparatorio per la tav. III, nella quale il sovrano, nei panni di Luigi XIII, appare circondato dagli altri componenti della real famiglia - la regina Maria Teresa, la principessa Maria Amalia, Maria Isabella contessa di Trapani, Luigi conte di Aquila - tutti in abiti ispirati all'epoca di Richelieu. Naturalmente, un'iniziativa che aveva richiesto una partecipazione tanto vasta e qualificata, meritava di essere tramandata ai posteri attraverso un volume degno di occupare << un luogo cospicuo anche negli annuali delle arti >>. A tal fine il Marta, << per rispondere all'eccelso divisamento del sontuosissimo monarca >> non esitò a recarsi in Francia dove avrebbe potuto attuare il suo piano avvalendosi dei maggiori cromolitografi allora esistenti. |